Colombia, 2007
85 min.
Regia: Spiros Stathoulopoulos
Sceneggiatura: Dwight Istanbulian, Spiros Stathoulopoulos
Fotografia: Spiros Stathoulopoulos
Musiche: Pascal Tiger
Produzione: HDFilms
Cast: Daniel Páez, Hugo Pereira, Alberto Sornoza, Merida Urquia
"Qualcuno ricorda Timecode, l'esperimento videocinematografico di Mike Figgis costituito da quattro piani sequenza di un'ora e mezza circa ciascuno proiettati contemporaneamente su schermo diviso in quattro parti? Si trattava, allora, di un gioco metalinguistico che, al di là dell'effettivo valore della pellicola – sul quale ancora si dibatte – esauriva il proprio discorso all'interno dell'azione sul linguaggio, la visione e la percezione. In PVC-1, esperimento analogo nella forma ma dagli esiti completamente diversi, l'epicentro del discorso torna a essere occupato dai meccanismi narrativi, qui distesi lungo un unico piano sequenza (niente split-screen, dunque) che registra impietoso in tempo reale il delinearsi dei contorni di una tragedia beffarda e paradossale. Il tempo come scansione metronomica dell'approssimarsi al momento fatale, riguadagna in PVC-1 il proprio status di agente primario dei destini dei personaggi. È una doppia "lotta contro il tempo" quella illustrata dal film: lotta dei personaggi in ambito diegetico, lotta della messa in scena in ambito linguistico; entrambe queste sfere hanno come unico limite la finitezza temporale[...]
Opera prima di Spiros Stathoulopoulos, greco di origine ma da anni residente in Colombia, PVC-1 trae origine da un tragico fatto di cronaca di qualche anno fa. Un'allevatrice di mezza età, sposata e madre di quattro figli, è vittima di un attacco terroristico: le viene applicato un voluminoso "collare" esplosivo, pronto a detonare se entro un breve lasso di tempo non verrà corrisposto un riscatto ai ricattatori; stessa sorte se la donna, o chi per lei, cercherà di toglierselo o di romperlo.
Stathoulopoulos segue passo passo la Via Crucis della donna che, accompagnata dal marito e dalla figlia primogenita, si muove dalla sua fattoria, isolata dai grandi centri cittadini, attraversa un tratto di foresta equatoriale e giunge in una radura altrettanto isolata, in prossimità di una costruzione diroccata, dove le viene incontro una squadra dell'esercito; soccorsa da un volenteroso artificiere, assapora attimo dopo attimo ogni istante che la separa dalla fine…
È raro trovare un film che riesca a costruire tensione e suspense rinunciando sistematicamente al montaggio. Stathoulopoulos riesce a fare di un antico "partito preso formale" uno strumento di istituzione di una dimensione tragica che avvolge e soverchia i personaggi dall'inizio alla fine del film. C'è dentro la lezione di Rope di Alfred Hitchcock, solo che qui è declinata in forma fenomenologica, rinunciando alle punte di climax; non perché non ve ne siano, ma perché è il film nella sua totalità a essere un climax dilatato a dismisura […]
Ciononostante, il regista non rinuncia a mettere in scena passaggi da classico "balzo sulla poltrona", allo stesso modo, si concede volentieri parentesi di ironia feroce, specie nel tratteggio, ai limiti del caricaturale, del comandante della compagnia dell'esercito giunta in loco a sovrintendere le operazioni di "sminamento".
Di grande interesse, poi, l'utilizzo della videocamera (lo stesso Stathoulopoulos è operatore di macchina, rigorosamente montata su steadycam, e non poteva essere altrimenti), che spesso disegna traiettorie "alternative" rispetto a quelle della protagonista, abbandonandola e riacciuffandola, fuggendo verso altri personaggi e poi ritornando, ostinatamente ma quasi controvoglia, come se… il regista intendesse suggerire un "corretto itinerario" salvifico, che non è esattamente quello della protagonista.
Il film è stato presentato al 60° Festival di Cannes, all'interno della Quinzaine des Réalisateurs."
Sergio Di Lino
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Messaggio modificato da JulesJT il 17 September 2016 - 02:30 PM
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