Naomi Kawase, questa sconosciuta?
Il buon battle ed io abbiamo pensato che non sarebbe stata un'idea malsana sottoporre all'attenzione di tutti un doveroso omaggio a Naomi Kawase, nella forma di una mini-retrospettiva (il cui inizio è previsto per il 12 luglio) che rappresenta l'occasione per proporre cinque suoi lavori inediti, Embracing, Kaleidoscope, Sky, Wind, Fire, Water, Earth, Letter from a Yellow Cherry Blossom e Nanayo, tutti caratterizzati da una forte componente documentaristica, ed anche, perché no?, per puntare i riflettori su una regista importante ma troppo trascurata su questi lidi come altrove.
Non tutti conoscono il cinema della Kawase. Ci sembra quindi utile fornire una bussola a chi ne è a digiuno, per accompagnarlo nella marcia di avvicinamento all'universo della regista, nella speranza di intercettare la curiosità di più persone possibili.
Il cinema by Naomi*
Come superare la propria solitudine, come mettersi in rapporto con gli altri. Il vecchio aforisma pavesano sembra risuonare a distanza di anni e di longitudine geografica nei film di Kawase Naomi, centrati su uno dei temi portanti della drammaturgia, dall'epoca mitica delle leggende orali al teatro moderno: l'agnizione. Scoprire chi siamo, "di" chi siamo, non è soltanto mia questione di eredità (e quindi di status), né di cromosomi, ma anche di storia, di memoria: è quel dettaglio insignificante che separa identità e alterità, quel mistero primordiale che, una volta trovata la chiave di lettura, dovrebbe permettere all'io di espandersi cosciente nel mondo.
È per questo che i film di Kawase sono cosi entusiasmanti: non tanto per una messa in scena elaborata che fa scuola. Né per una ricerca formale, attuata nella costruzione delle immagini. Ma per il soffio vitale che sottende il discorso, per quel suo ampio e repentino volgersi alla ricerca dell'altro da sé, come conferma della propria umanità. Questo discorso, questa "vis" primaria ad esso collegata, viene prodotto instancabilmente dalla regista giapponese, attraverso una prolificità di opere che non ha tanto a che vedere con una strategia produttiva e di mercato, né con l'ingegno eclettico del genio precoce, che non ha tempo da perdere e quindi lavora instancabilmente a realizzare ciò che deve avere luogo, ora o mai più. Non è di questa pasta Kawase. Piuttosto è l’urgenza del suo sentire che la fa essere continuamente in ascolto del mondo. Come se la perdita implacabile che risuona dentro di sé la costringesse all’attenzione perpetua di altre voci, di altri echi. E queste voci, questi echi non possono che concretizzarsi in occhi, mani e oggetti (oggetti che queste mani toccano, oggetti che questi occhi contemplano) in una declinazione triangolare, emblema di una circuitazione che scorre parallela al linguaggio orale, amplificandone la portata, rivelando il senso profondo delle parole e dei gesti, creando una cartografia affettiva dell'essere umano.
La molteplicità del reale, dunque, l'impossibilità di comprenderlo tutto. E poi, improvvisamente: “Esisto, ci sono, sono stata, per un momento!”. Il cinema di Kawase è denso di questi richiami, di questo desiderio dì darsi un nome, di farsi nominare, di fare in modo che l’altro la definisca, così come lei lo mette a fuoco attraverso l'obiettivo. Il cinema come mezzo di scambio.
La formazione*
Il cinema di Kawase Naomi è una sinfonia di sensazioni. Un millennio prima di lei, altre donne, in Giappone, hanno dato corpo in letteratura a un analogo amalgama di emozioni, annotando il flusso dell’esistenza sull'onda di un disordine emotivo che è proprio della vita stessa, con uno stile che traduce in tempo reale i sentimenti ed è perciò definito zuihitsu, “che segue il pennello”. Tra le mani di Kawase, la macchina da presa si muove sinuosa, a tratti più incisiva, altre volte volatile, proprio come la punta di un pennello impegnato nella scrittura di un ideogramma.
Dopo la visione dei suoi film, è difficile asserire con certezza che contengano una traccia autenticamente autobiografica: si ha piuttosto la sensazione che la sua vita, la realtà da lei descritta, gli sguardi incontrati dal suo obiettivo, servano tutti a spennellare un mondo “altro" che si alimenta del disordine, della metafora, dell'improvvisazione. Nell'insieme, ogni immagine definisce il percorso parallelo tra i due viaggi intrapresi dal suo lavoro: uno più sofferto che dal passalo conduce in direzione del presente, e quello che dalla vita sgorga dolcemente nella morte e da lì in altre possibili esistenze.
Sono fondamentali, nella sua formazione, i primi anni dell'infanzia: dopo la separazione dei genitori (sua madre aveva deciso di allontanarsi dal marito perché preoccupata delle sue attività di yakuza, come la stessa Kawase ha raccontato), Naomi viene allevata dai suoi prozii, un'anziana coppia senza figli che la educa con grande affetto e che lei ama chiamare “nonni”. Da loro eredita dunque una memoria del passato - del Giappone, della propria famiglia, della mitologia che impregna la terra - incastonata ormai con naturalezza nella visione entusiastica, dalla curiosità quasi infantile, con cui esplora il mondo a lei contemporaneo.
Importante anche che Kawase venga allevata a Nara, la più antica tra le capitali del Giappone, la città sorta sul regno di Yamato, all'origine stessa della storia del suo Paese. Immersa in una natura tuttora quasi incontaminata e costellala da antichi templi dal profondo richiamo spirituale, Nara resta oggi una delle aree del Giappone che più sfuggono alla nostra pletora di luoghi comuni perché ben distarne dal caotico assetto tecnologico delle grandi metropoli.
Questo spiega l'agilità con cui il suo cinema si snoda negli ambienti naturali, ma anche quell’autentico stupore che la regista mostra di provare quando entra in contatto con le opere della civiltà umana.
* Tratto da Kawase Naomi: i film, il cinema, di Maria Roberta Novielli
Parliamone! Intanto vi ricordo che il nostro archivio comprende già diversi lavori della regista, tra cui Terachime, Moe no suzaku, See Heaven, Shara e The Mourning Forest.
Messaggio modificato da fabiojappo il 14 June 2015 - 10:10 AM