Inviato 18 April 2019 - 02:29 PM
Con il cortometraggio “Shilde” (Luglio in lingua kazaka) il regista Darezhan Omirbayev, esibisce deciso il suo biglietto da visto in termini d’esordio e di conseguenza un concreto potenziale, colui che poi diventerà uno dei maestri del cinema Made in Kazakistan.
In questo caso di parla di cinema sovietico, anzi, di morente cinema sovietico visto che il crollo dell’U.R.S.S. era diventato realtà, e nonostante la povertà dei mezzi tecnici a disposizione, il regisseur riesce a confezionare un gioiellino che a mio avviso ha dei richiami con il neorealismo, dove la trama è secondaria, infatti il susseguirsi è “narrato” attraverso la prospettiva di due bambini che a momenti potremmo etichettarli come “Ladri di meloni”.
A questo punto mi chiedo se Omirbayev non abbia preso ispirazione almeno parzialmente o prendendo in prestito alcune scaglie de “Ladri di biciclette” di Vittorio De Sica. Ad ogni modo il cortometraggio l’atmosfera ricreata non lascia indifferente lo spettatore, dove povertà, doveri e tediosità quotidiana, trovano nei due bambini soltanto un qualche stimolo col cinema, con delle ragazzate e giochi infantili, sebbene il finale lascia presagire di come globalmente, per grandi e piccini la condizione nelle steppe in Kazakistan rimane e rimarrà “arida”.
Vorrei segnalare di come con “Shilde” è possibile fare i dovuti collegamenti con il successivo lavoro filmico del già citato kazako artista, ovvero il lungometraggio, “Kairat” tanto da considerare il primo come un prequel diretto, per via di alcuni dettagli e caratteristiche che non mi sono di certo sfuggite.
Il bambino assomiglia tantissimo all’adulto Kairat, entrambi interessati di cinema, entrambi provenienti da una località pastorale/contadina piuttosto squallida e senza prospettiva, entrambi protagonisti di quell’essere non proprio incentivati all’evoluzione ed entrambi che si lasciano travolgere dall’uggiosità esistenziale a dispetto di un sole che irradia quei luoghi dimenticati da Dio. Cosa molto importante è presente una sequenza onirica che si confonde con la realtà, indubbiamente tale funzionante espediente filmico viene preservato e sfruttato successivamente in maniera ancora più decisa col film appena menzionato prodotto agli inizi degli anni novanta.
Quindi assemblando il cortometraggio e il lungometraggio, sicuramente il risultato finale non lascia margini di dubbio, ovviamente secondo una mia predisposizione da appassionato spettatore cinematografico.
Tra le varie cose mi sono focalizzato su come fin dall’inizio è stata gestita la cinepresa, in quanto si sposta verso l'alto e intorno alla finestra, attraverso la madre addormentata e il ragazzo sveglio, un seguire il movimento pigro di una mosca che ronza. Che sia una sorta di colonna sonora sperimentale? Il movimento viene scandito ulteriormente appena il protagonista si alza dal “giaciglio”, dove è facile capirne la sua situazione, l’ambiente, il ceto etc.
Lo scalcinato ed improvvisato cinema in cui viene mostrato un melodramma musicale russo in stile Bollyowood, beh, Omirbaev continua ad avere buona padronanza di regia e di “inquadrare” con professionalità, ad esempio lo sfiorarsi l’avambraccio quasi discreto tra due bambini, elemento peraltro presente anche in Kairat.
In conclusione, direi “obbiettivi raggiunti” per Darezhan Omirbayev, un cortometraggio da visionare, adatto per molti ma non per tutti.
Ah, dimenticavo:
ringrazio Anna90 per aver tradotto il cortometraggio, mi sto interessando gradualmente a tutti i film diretti Darezhan Omirbayev
Ragazzi, propongo la traduzione dell'intera cinematografia del regista, non molta copiosa però degna di nota.