Titolo: Nathalie Granger
Regia: Marguerite Duras
Paese: Francia
Anno: 1972
Durata: 83'
Lingua: Francese
Interpreti: Lucia Bosé, Jeanne Moreau, Gérard Depardieu
Trama e commento:
Una radio comunica l'omicidio di tre persone per mano di due killer, due donne sono appartate in una casa isolata ed apprendono la notizia. Nathalie, la figlia di una di loro, agisce aggressivamente a scuola, si rifiuta di proseguire gli studi di pianoforte. Tutto scorre e prosegue come sempre. A spezzare la monotonia degli eventi è un venditore di lavatrici che tenta inutilmente di convincere le due donne a comprare una nuova macchina. Nulla da fare, l'uomo se ne va, ma la sera stessa ritorna: ha capito che quella vita non fa per lui. Nathalie riprenderà a suonare il pianoforte, forse, non ha alcuna importanza.
Non esistono veri e propri racconti, né sviluppi narrativi, nel Cinema di Marguerite Duras; e in questo "Nathalie Granger" non fa eccezione. Si comunica di impulsi, di suggestioni, si subisce il fascino della natura, la nausea dell'ordinarietà. Nelle sequenze sussiste un lirismo che si percepisce costantemente, dagli sguardi vuoti, dalle immagini immobili, dai silenzi stridenti, e che finisce qui per scontrarsi con la violenza estrinseca, creando un clima logorante e disarmonico. La Duras, solitamente propensa ad una verbosità sostanziale ed anti-narrativa, costruisce questa volta l'opera con una struttura ellittica, che lavora sul non detto, concentrandosi più sulla dimensione ontologica dell'individuo che sull'individuo stesso. Impossibile non notare parallelismi con il Cinema della Akerman, sempre vicinissimo a quello della Duras, in particolare col suo "Jeanne Dielman"; al contrario di quest'ultimo, però, in "Nathalie Granger" la pressione dell'ambiente domestico scaturisce in un'implosione di violenza che non si manifesta mai in un evento specifico, bensì si intuisce da un insieme di dettagli: gesti, parole, consuetudini che confermano solamente la stessa medesima apatia incessante. Uno dei primi lungometraggi della Duras è già una parabola su quel malessere di vivere che Baudelaire chiamava spleen e che Montale metaforizzava nell'arsione di una foglia, allegoria qui ripresa forse nell'unica azione significativa compiuta dalle protagoniste. Quella qui rappresentata è un'insofferenza che ha molto di sociologico, si riversa sull'incapacità di comunicare, di esprimersi, su un anti-pragmatismo che si disgusta dinnanzi alla mediocrità del quotidiano e vede nell'unica relazione sociale presente un venditore porta a porta, ennesimo emblema della realtà come schiavitù (consenziente). Cinema profondamente umano ed anticonvenzionale, che rifiuta il mondo in cui vive e vive di questo rifiuto.
Traduzione: paxy
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(Versione: 698)
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Messaggio modificato da JulesJT il 15 July 2016 - 07:34 PM