Alpeis aka Alps
Grecia, 2011
83 min.
Regia: Yorgos Lanthimos
Sceneggiatura: Yorgos Lanthimos; Efthymis Filippou
Fotografia: Christos Voudouris
Montaggio: Yorgos Mavropsaridis
Scenografia: Anna Georgiadou
Costumi: Thanos Papastergiou; Vassilia Rozana
Interpreti e personaggi: Aggeliki Papoulia (Infermiera); Aris Servetalis (Paramedico); Johnny Vekris (Allenatore); Ariane Labed (Ginnasta); Stavros Pssillakis (Padre dell'infermiera); Efthymis Filippou (Proprietario negozio luci); Eftihia Stefanidou (Cieca); Constantina Papoulia (Amica); Sotiris Papostamatiou (Padre della tennista); Tina Papanikolaou (Madre della tennista); Nikos Galgadas (Fidanzato della tennista); Maria Kirozi (Tennista); Fotis Zahos (50enne).
Quattro attori creano un’agenzia, Alpeis, con la quale si offrono come avatar (nel senso proprio di reincarnazioni in forma diversa) di persone morte, vengono ingaggiati da tutti coloro che non riescono a superare un lutto e insieme ai loro clienti ricostruiscono scene di vita passata. Dall'assenza dei corpi originari emerge l'essenza irreale del sistema delle immagini capitalistico.
Per comprendere meglio la dinamica (metalinguistica) di Alpeis, ultimo film di Yorgos Lanthimos, passato a Venezia lo scorso anno, si può partire, secondo logica, da Kynodontas, cioè dal referto impassibile, sibillino, della mistificazione linguistica impartita dalla borghesia del terzo millennio e suscitata dalle sue fobie, pruderie irsute e flaccide, da accoppiamento meccanico di vecchi coniugi, ma di una meccanica archeologica, oggi si direbbe vintage, per via del corollario (o sineddoche) di mangianastri portatile e di videoregistratore e videocassette usati poi come arma. A parte questa immagine di espletamento alienato di esigenze corporee, deprivate di ogni residuo del lascito estatico proprio dell'eros, e rese rito funereo, adiacenza di mero carname, c'è un'altra immagine da cui si possono prendere le mosse, quella dell'uccisione inconsapevolmente efferata di un gatto, che è tutt'uno, non solo col sangue e la carcassa che, naturalmente, se ne ricavano, ma proprio con il contesto sterilizzato del giardino, della casa, del pavimento slavato intorno alla piscina, delle forbici eloquentemente minacciose nel loro acuminato e luccicante acciaio.
Lo sguardo critico di Lanthimos rimanda allo scenario clinico, proprio nell'immagine asetticamente ambulatoriale di vivisezione, che lascia, sul piano, organismi a brandelli, organi nudi e vischiosi (la stessa in-significanza e in-consistenza mortuale del “pasto nudo” burroughsiano), budella, secrezioni spaventosamente bianche e carname di gatto. Il cinema lanthimosiano è questa formazione, questo meccanismo di coercizione-vivisezione lì dove in Alpeis si espleta in quanto serie di piani grotteschi, in cui germina la banalità dello spettacolo e della violenza.
Alpeis è un'associazione di alienati (istupiditi dall'inerenza alla società dello spettacolo) che si propone di assolvere a un compito filantropico – per mezzo delle qualità interpretative di ogni membro –, cioè di sostituire, in una recita automatica e idiota (ma qui l'idiozia è endemica e non posticcia come nella declinazione larsvontrieriana), persone morte, ricavandone dai committenti (mariti vedovi, genitori frustrati dall'incidente mortale della propria figlia, ecc.) un compenso che completa il quadro di illustrazione della società massiva fondata sul volume di spettacolo grezzo e sul principio della contropartita.
Il film è tutto nelle mosse innaturali, ridicolmente irrigidite degli attori di queste farse ispirate all'enorme parata dello spettacolo pop (da Bruce Lee a Prince ecc.), che sono la materia stessa del film, delle immagini, allora triste parodia, istupidimento di quelle semoventi sequenze bressoniane e dei suoi modelli (a cui sono sussunti gli attori) che asserivano (o semplicemente ricavavano) la propria indipendenza tattile. In Alpeis il tatto, la giustapposizione materica, è di immagini, personaggi svuotati di senso, di sensorialità; si tratta del rapporto, del contatto inane innescato dal liberismo, che a tratti esplode in efferata e automatica violenza (come in Kynodontas) per mezzo di questi vuoti e grotteschi modelli bressoniani, inconsapevolmente violenti, come magari potrebbe esserlo il protagonista del Cosmopolis cronenberghiano, alla ricerca (automatica) del proprio corpo, scoperto asimmetrico, quindi svilito poi, perforato da pallottola, ma prima intento a liquidare corpi altrui come fossero semplici icone sovraesposte nella luccicanza dello schermo, nell'enorme congerie della città spettacolare, televisiva (che al limite è, mettiamo, la New York delle serie tv amicali, domestiche, addomesticate dall'egida della borghesia proprietaria).
Ma Alpeis si lega strettamente anche a Kinetta, che era per lo più rappresentazione di rappresentazioni, alla cui base c'erano gli istinti malsani dei soggetti nella società pop, tradotti in recite (riproduzione di avvenimenti violenti tratti dalla cronaca o inventati) simili, ancora, a quelle cronenberghiane, ma svuotate dal sostrato di formicolante sensualità che innescava la messa in scena di Crash, in favore di una disfunzione iconologica, proprio corporale, che diviene appunto norma di totale non funzionalità (idiozia) nell'impalcatura autoreferenziale e costitutivamente insignificante dello spettacolo (del) contemporaneo, un grottesco tanto più indicativo (nel suo intrinseco non-senso) in quanto ambientato in quella Grecia deprivata (dal Consumo, quindi dal regime del Debito) anche della sua tradizione tragica.
Luigi Abiusi - www.uzak.it
TITOLO DISTRIBUITO IN SALA
Messaggio modificato da JulesJT il 28 December 2016 - 01:03 PM
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