Nymph
Titolo: Nymph
Titolo Originale: Nang Mai
Regia: Pen-Ek Ratanaruang ( )
Con: Jayanama Nopachai, Porntip Papanai, Wanida Termthanaporn, Chamanun Wanwinwatsara
Genere: Drammatico-Horror (imdb aggiunge fantasy... ancora una volta dubito che abbiano visto il film)
Produzione: Thailandia, 2009
Durata: 92'
imdb: 6.3/10 (136 voti) http://www.imdb.com/title/tt1424366/
Versione: Allzine
Traduzione: battleroyale
Revisione: Akira
May e Nop sono una giovane coppia sposata in crisi che, per ritrovare il proprio equilibrio, decide di passare qualche giorno in una foresta. Il clima tra i due è teso: si parlano a stento, Nop vorrebbe far l'amore con May, ma lei non si fa toccare poichè ha una segreta storia extraconiugale con un collega di lavoro, litigano... Poi, il giorno dopo, May si sveglia e Nop non è più accanto a lei. Inizia a cercarlo senza successo. Disperata, May denuncia la scomparsa di Nop alla polizia locale, scoprendo che in quella foresta sono scomparse diverse persone. Tornata a casa, la ragazza, distrutta, va a letto. Quando si risveglia ritrova Nop sdraiato sul divano. May non sa come possa essere tornato, ma è felice di aver ritrovato suo marito, che, tuttavia, comincia a comportarsi in modo strano, molto strano: non mangia mai, beve tantissima acqua e pare aver scoperto l'oscuro segreto della moglie. Quando May riceve l'inquietante chiamata della polizia tutto precipita: è stato ritrovato un cadavere maschile nella foresta...
Silenzi che urlano.
(rece dal mio blog di cinema orientale cinema_asiatico)
Pen-Ek Ratanaruang è una delle più affascinanti realtà del cinema contemporaneo asiatico, oltre che thailandese. Il suo stile è minimale, ipnotico, in grado di scarnificare e rivitalizzare qualasiasi genere secondo la sua firma: dal dramma esistenziale (Last Life In The Universe), al thriller (Invisible Waves). Ma ora il regista thailandese ha deciso di affondare del suo stile unico nell'horror: "Nymph" è un film tanto inspiegabile quanto affascinante.
Già dal primo fotogramma si è immersi già in cinema particolarmente alto: la telecamera fluttua tra i rami oscuri. Oscilla tra i rami e si perde. E' la vita del cinema, della telecamera. Noi assorbiamo il silenzio della foresta e lo facciamo nostro. Una ragazza grida ma non ce ne accorgiamo, rapiti dalla bellezza che ci circonda.
Ed è per dieci minuti abbondanti che ci pare di essere in quella foresta, a condividere dolori con i personaggi, con i protagonisti silenziosi, quasi in lutto. Il lutto delle loro emozioni.
Il regista pare che riesca a filmare anche all'interno dei suoi attori, metaforicamente parlando ovviamente. Riesce a farci sentire le loro emozioni. Così come nel capolavoro "Last Life In The Universe" Ratanaruang è riuscito a tagliuzzare una trama da potenziale thriller drammatico, così in "Nymph" ha spezzato le regole dell'horror e ne ha plasmato il suo "Antichrist": un bellissimo dramma surreali con scaglie horror e con radici profonde nei sentimenti più reconditi dell'uomo.
Un film bellissimo, stralunato e coinvolgente, che affonda in un terrore embrionale eche sfocia nella follia. Meraviglioso. L'ennesimo colpo di genio di un grande maestro, da cui ci si aspetterebbero, sempre, grandi cose.
(recensione di Antonio Spera):
In pochi ricordano il suo nome, ma la sua cifra stilistica è inconfondibile. Il regista thailandese Pen-ek Ratanaruang, già autore dei bellissimi e convincenti The Last Life in the Universe e Ploy, non si smentisce mai. I suoi film possono piacere o no, ma è sotto gli occhi di tutti il suo straordinario talento visionario, la sua genialità nel costruire le storie, la sua follia distruttrice del reale, l’eleganza con cui muove la macchina da presa.
Il suo ultimo film, Nang Mai (Nymph), presentato a Cannes 2009 nella sezione Un Certain Regard, inizia subito sprigionando la classe dell’autore. In un lunghissimo piano sequenza (quasi 10 minuti) la macchina da presa fluttua lentamente all’interno di una foresta evitando i fitti rami degli alberi ; una ragazza corre disperata inseguita da due uomini e quando viene presa e stuprata, l’obiettivo la inquadra nascondendosi dietro agli alberi. Poi, continuando il suo movimento, la cinepresa si allontana immergendosi nel verde della foresta ; vola alto, poi si riabbassa, fino ad avvicinarsi lentamente ai corpi senza vita dei due stupratori stesi nell’acqua in un ruscello.
Mentre si guarda questa scena non viene da domandarsi come sia stata girata perché si è totalmente affascinati ed avvolti nel contesto (sovra)naturale rappresentato. E così è per tutta la durata della pellicola. Pen-ek Ratanaruang crea un’atmosfera “altra”, a metà tra il dramma familiare ed il thriller paranormale, in cui uomo e natura si fondono, in cui non si riesce a distinguere il sogno dalla realtà, il vero dalla visione interiore, la leggenda dalla vita vera. In quest’atmosfera lo spettatore rimane immerso e costretto. Sebbene, proprio per questo disorientamento narrativo, lo svolgimento degli eventi non risulti ben chiaro, il film tiene il pubblico attaccato allo schermo, non tanto per il suo ritmo – anzi, esso è molto lento e riflessivo – quanto perché spinge a ricercare le motivazioni dei fatti in un universo psicologico e sovrannaturale che non dà punti di riferimento evidenti.
Gli spettatori così come i personaggi vivono una realtà che non esiste o che comunque non è come appare. L’ordine del mondo in cui si ritrovano i protagonisti, dopo la loro gita nella foresta, è dettato dalla natura e dai suoi spiriti e quindi è imperscrutabile ed ingovernabile. I valori cambiano, i sentimenti assumono forme diverse, i rapporti interpersonali prendono nuove strade. Forse neanche il regista Pen-ek Ratanaruang comprende fino in fondo le cause degli eventi narrati. Ma d’altronde la sua arte cinematografica è un fiume incontenibile e caotico di idee e di follia. Cercare di capirla fino in fondo sarebbe un’azione sbagliata ed inconcludente. L’unico modo per apprezzarla è lasciarsi travolgere dai flussi che emana e dalla poesia del suo stile.
(recensione di Nicola Picchi):
Un piano sequenza di otto minuti definisce le coordinate dell'ultimo Pen-ek Ratanaruang, un piano sequenza ingannevole che nasconde al suo interno un'ellissi temporale: in una foresta due uomini stuprano una donna e dopo alcuni, ipnotici minuti di contorsioni della steadycam, i medesimi aggressori vengono mostrati, ormai cadaveri, mentre galleggiano in un fiume. Questo prologo segna l'inizio di "Nymph", l'opera forse più ermetica, irrisolta e indecifrabile del regista thailandese.
Un'apparente incursione nel fantastico puro, che nasconde in filigrana una melanconica riflessione sui rapporti interpersonali e sull'infedeltà, analoga a quella del precedente "Ploy". La cifra stilistica e' la stessa: un felpato onirismo in cui sogno e realtà si fondono l'uno dentro l'altra, e in cui il linguaggio viene piegato a minimi, impercettibili spostamenti di senso.
Lo spazio naturale, pervaso di senso panico, e lo spazio urbano sono i due poli opposti tra cui oscillano i protagonisti di "Nymph". Da un lato un universo disarmonico, rigidamente strutturato, alienato, dove i rapporti tra le persone seguono tappe obbligate (il matrimonio, il tradimento), dall'altro lo spazio sintonico, libero, istintuale della natura, in cui forse è possibile sanare una frattura, ricostruire un equilibrio tra l'uomo e il cosmo ormai definitivamente incrinato.
La Ninfa del titolo, che sia un'evoluzione della figura femminile che vediamo nel prologo, una ninfa dei boschi o una driade, è il simbolo catalizzatore di questa dicotomia insanabile.
E' d'obbligo ricorrere alla classicità, ricordando che un frammento di Eschilo ci insegna che le ninfe "offrono il dono della vita", mentre Plutarco usa una parola specifica per definire chi è posseduto dalle ninfe (nymphóleptos, traducibile con ninfolessia), possessione non da intendersi nella moderna accezione cattolico-occultistica, ma come metamorfosi, ebrezza divina che porta felicità e conoscenza.
Nop ricompone l'armonia facendo l'amore con la ninfa fra le radici di un albero, in una scena curiosamente simile a quella dell' "Antichrist" di Lars Von Trier, anche se al posto dell'allucinato nitore della pittura fiamminga omaggiata dal regista danese abbiamo un misticismo di stampo animista che rammenta l'Apichatpong Weerasethakul di "Tropical Malady".
Nop, nel suo immaginario ritorno a casa, è infatti radicalmente mutato.
Rifiuta di mangiare e consuma esclusivamente grandi quantità di acqua, assimilato da May al grande albero che domina la foresta, contro cui sfogherà tutta la propria aggressività e frustrazione.
Evitando prevedibili derive in odore di manicheismo (vedi "L'albero del male" di Friedkin), Ratanaruang sembra optare per una riconciliazione, come appare evidente dalle ultime parole proferite da Nop, prima di scomparire per sempre nella giungla.
Nopachai Jayanama è il classico protagonista passivo alla Ratanaruang e, pur mancando del carisma di Tadanobu Asano in "Last Life in the Universe" e "Invisible Waves", se la cava dignitosamente, così come la May di Wanida Termthanaporn, anche se i veri protagonisti del film sono la languida e sognante regia di Ratanaruang, la fotografia di Charnkit Chamnivkaipong e il suggestivo sound design di Koichi Shimizu, che dà voce e respiro alla foresta.
La versione definitiva approvata dal regista è più breve di circa 15 minuti rispetto a quella presentata a Cannes, e il film è dedicato a Wouter Barendrecht, produttore della benemerita "Fortissimo Films" recentemente scomparso.
BUONA VISIONE!
NYMPH ITA.zip 7.84K 232 Numero di downloads
Messaggio modificato da fabiojappo il 03 November 2014 - 04:45 PM