Una frase - in particolare - ha colpito la mia attenzione:
L'INCERTEZZA È UN TERRENO FERTILE DOVE SI COLTIVA QUELLA PAURA CHE POI SI TRASFORMA IN DISCRIMINAZIONE.
(Parole sante! Cribbio! O__O')
Giappone, la paura si trasforma spesso in pregiudizi e discriminazioni. Vittime le persone evacuate dalle zone contaminate. Il punto di vista di un’abitante di Fukushima
di Naoko Okada - 31 maggio 2013
L’immagine di apertura è di Silver, artista che ha collaborato al progetto Tsunami
Diario da Kyoto, maggio 2013
Giappone, paese monoetnico, una società intollerante verso la diversità. Esiste una discriminazione occulta ma profonda per i Burakumin, ossia i discendenti della casta più bassa del medioevo, verso i coreani residenti in Giappone e nei confronti dei disabili. Recentemente ne è nata un’altra: nei confronti degli abitanti di Fukushima.
«Le radiazioni e la radioattività non sono contagiose! Impariamolo nel modo giusto» è il titolo di una pagina all’interno del sito della provincia di Kyoto. «Secondo quanto dichiarato dallo Stato, finora non sono state rilevate radiazioni in quantità tali da danneggiare la salute delle persone delle zone evacuate. Non provoca nessun danno alla salute parlare o vivere con le persone sfollate a causa dell’incidente nucleare. Siate gentili con chi è senza casa». Il motivo per cui un ente locale debba fare una campagna di sensibilizzazione simile effettivamente esiste. Vengono riportati i casi di bambini di Fukushima trasferiti in altre province e diventati oggetto di casi di bullismo. I camionisti di un’azienda di trasporto di Fukushima quando viaggiano sono costretti a noleggiare gli altri camion nelle altre province, perché i clienti non vogliono camion con la targa di Fukushima.
Hobun Ikeya, presidente della Società Conservazione dell’Ecosistema l’anno scorso è stato al centro di numerose polemiche scatenate da queste parole: «È meglio non sposare persone di Fukushima. Rischiadi aumentare notevolmente la nascita di bambini deformi». Il mese scorso l’account twitter del dottore Shunichi Onodera (in passato al lavoro per la Tepco) ha causato un flame quando ha twittato: «Il veleno di Pika (bomba atomica) è contagioso. Se una persona accumula radiazioni naturalmente contagia le persone che si trovano nelle vicinanza. Ma per l’ignoranza molte persone vengono contaminate nel caso di Fukushima».
La mia amica M.H. è una ragazza 28enne che vive a Tokyo da dieci anni. I suoi genitori vivono nel quartiere Aizu, a circa cento chilometri dalla centrale nucleare di Fukushima Daiichi. «Quando i due reattori sono esplosi, sono stata colta da un profondo senso di smarrimento all’idea che avrei potuto perdere la mia città natale. Prima non avevo mai realizzato il mio amore per il paese nativo». Ma dopo quei giorni fatidici “Fukushima” è cambiata per sempre.
«Fukushima era una provincia indifferente, senza carattere. Ma a un tratto è diventata centro dell’attenzione del mondo, non nel senso buono. Mi sento molto a disagio per come Fukushima viene raccontata ora». Esattamente come la parola “Hiroshima”, accompagna il ricordo del triste passato. Un luogo penoso ma orribile con cui la gente esterna esita ad avere contatti.
«Sono fortunata ad essere circondata da persone gentili, personalmente non ho mai avuto esperienze spiacevoli dopo l’incidente nucleare scatenate dal fatto che vengo da Fukushima. Ma quando una persona nuova mi chiede di dove sono, spesso esito. Dico che sono dalla parte di Aizu». Mi racconta che quando certe persone scoprono che è di Fukushima fanno la faccia imbarazzata, come se avessero chiesto qualcosa che non dovevano. «E poi la conversazione si ferma e finisce che sono io a sentire di aver provocato il loro imbarazzo».
Grazie alla distanza dalla centrale nuclerale, il quartiere Aizu non è stato incluso nelle zone di evacuazione. Era una città turistica ma dopo l’incidente nucleare l’affluenza si è ridotta a un decimo, sono però arrivati gli sfollati delle altre città della provincia. «Mi hanno raccontato che abbiano avuto i problemi con loro. Dopo il loro arrivo, stranamente, ma improvvisamente, sono aumentati i furti in casa. I campi venivano danneggiati e i prodotti agricoli rubati. Non possiamo essere sicuri che si tratti di opera loro, ma è anche vero che la considerazione della gente locale nei loro confronti è peggiorata».
Eppure si tratta di persone scappate con soltanto i vestiti che aveva addosso. All’inizio dormivano negli alberghi trasformati in rifugi, ora vivono negli alloggi temporanee. Comunque non riescono tuttora a tornare a casa loro. «Le persone che lavoravano alla centrale nucleare erano benestanti. Spesso si comportano in modo arrogante nei ristoranti, forse perché ubriachi, forse perché stressati». Così, la distanza tra la gente locale e gli sfollati non si colma.
La mia amica ha due sorelle più grandi di lei, entrambe hanno una figlia di 10 anni. «Si preoccupano molto delle loro figlie. Se da grandi andranno ad abitare fuori Fukushima e vorranno sposarsi, potrebbero essere discriminate. Stessa discriminazione subita dalle vittime di Hiroshima, per il pregiudizio che possano nascere bambini deformi per l’alterazione cromosomica».
Dopo l’incidente di Fukushima si parla molto dei danni alla salute causati dalle sostanze radioattive. Ma anche tra gli scienziati ci sono opinioni discordanti: c’è chi dice di non preoccuparsi troppo e chi dice di porre la massima attenzione. L’incertezza è terreno fertile dove si coltiva quella paura che poi si trasforma in discriminazione.
Messaggio modificato da JulesJT il 01 June 2013 - 01:27 PM