Ok, ora che l'ho vista tutta e che mi sono lasciato anche un po' di tempo per digerirla, posso dire la mia.
La trama ovviamente è tutt'altro che originale, ma è chiaro che questa serie puntava su altro: lo spessore della scrittura, l'atmosfera, l'approfondimento dei personaggi, le qualità attoriali.
Tutti obiettivi raggiunti in pieno, per quanto mi riguarda.
Ho però una riserva, e si chiama Matthew McConaughey.
Quando il tizio venne fuori, all'inizio qualcuno lo considerava un po' un nuovo Paul Newman, sopratuttto in quanto ad aspetto fisico. Ma c'è da dire che, mano mano che il texano matura e invecchia, gli somiglia sempre meno, e questo è un bene (per lui).
Ma a me ricorda Paul Newman anche per un'altra caratteristica che non è fisica, ma attutudinale: la mancanza assoluta di umiltà.
Il tizio, McCoso, si piace un casino, quasi si idolatra, si guarda recitare, se la tira abbestia.
Quando girò "Il colore dei soldi", Paul Newman (e non era neanche più un ragazzino) ad un certo punto fu ripreso da Scorsese perché andava troppo sopra le righe. Lo raccontò lui stesso agli studenti dell'Actors Studio. Newman era così: voleva essere bravo, e in ogni scena calcava qualcosa: il broncio, l'accento, le movenze.
Ma almeno era simpatico e gli voglio bene così com'era.
McCoso invece, si sta facendo indubbiamente bravo, si sta scegliendo ruoli perfetti, ha trovato il coraggio di rilanciare la sua carriera sotto una stella migliore, vuoi perché ha un signor agente, vuoi perché lui stesso è intelligente e volitivo. Sia come sia, di questo gli riconosco il merito.
Ma proprio per questo, dovrebbe smetterla di "provarci", di "farcelo vedere", e semplicemente recitare.
Quello che voglio dire è: non puoi fare di ogni singola scena una scena madre. Non puoi caricare la tua performance al massimo in ogni primo piano, mezzo busto, campo medio.
E questo un regista che sa dirigere gli attori dovrebbe impedirlo.
Chiaramente Cary Fukunaga è ancora un pischello (talentuoso) e si vede. Si è affidato a due attori già ritenuti grandi e ha lasciato a loro la costruzione delle scene e lui si è dedicato (egregiamente) al resto.
Però in questo modo i due attori (sì, un pochino anche Harrelson, con quella bocca sempre in movimento, sempre a succhiarsi la guancia...) sono finiti spesso in "overacting", in orgasmi onanistici alla "ve lo faccio vedere io" o, come direbbe David Foster Wallace, alla "guarda, mamma, senza mani!".
In questo senso, la parodia fatta agli Oscar (esilarante!) è più che meritata.
La scrittura invece mi ha lasciato in più occasioni senza fiato. Un affondare il coltello nelle pieghe dell’anima (e dell’animo) come raramente si fa in America. Nell’America dell’intrattenimento, ovviamente. Qui siamo più dalle parti della letteratura vera e propria. E certi concetti partoriti dalla mente di Cohle fanno rabbrividire, commuovono per la loro schiettezza, e per la sofferenza che traspare da quel muro di invulnerabilità emotiva dietro cui vorrebbe nascondersi.
Insomma, è l’autore, il giovane Nic Pizzolatto (già autore di un paio di episodi dello splendido “The Killing”), il vero campione della serie, e mi auguro che gliene lascino scrivere molte altre, e magari anche qualche bel film…
Messaggio modificato da polpa il 19 September 2014 - 09:31 AM