(con il Leone d'Oro per "Still Life", Venezia 2006)
Traduzione sottotitoli: Cineteca di Bologna
Editing per AsianWorld: Cignoman e fabiojappo
Approfondimento e recensioni: sobek
- Buone visioni -
24 City
A Chengdu, la fabbrica di Stato 420, che produceva strumentazione per aerei, viene smantellata dopo più di sessant’anni. Al suo posto verrà costruito un quartiere residenziale. (trailer)
Useless
Documentario sull’industria della moda in Cina e sugli effetti che il nuovo modello capitalistico di sviluppo produce sulle comunità rurali. (trailer)
I Wish I Knew
Il film si concentra sull’architettura, la cultura e la vita di Shanghai, dalla metà dell’800, quando la città era un fiorente porto commerciale, ai giorni nostri. (trailer)
(con Joan Chen e Zhao Tao a Cannes nel 2008 per 24 City)
Approfondimento a cura di sobek
Quando nel 2006 la Mostra Cinematografica di Venezia ne decretò il trionfo e lo pose sotto l'occhio anche del grande pubblico, Jia Zhang-ke aveva alle spalle già una carriera da regista e scrittore notevole, culminata in quello che a tutt'oggi è considerato il capolavoro assoluto suo e dell'intera Sesta Generazione di cineasti cinesi: Platform, pellicola del 2000 che racconta un ventennio a cavallo tra gli ultimi sussulti della rivoluzione culturale e l'inizio della modernizzazione, con gli occhi di giovani artisti girovaghi.
Nato e cresciuto nello Shanxi, nella città di Fenyang, per tutta la prima parte della carriera ha mantenuto un legame esclusivo con la sua terra d'origine sempre al centro dei suoi racconti cinematografici a partire dai primi corti realizzati da studente della Beijing Film Academy; è nel 1994, all'età di 24 anni, che dirige il primo short movie cui ne seguiranno altri prima del Diploma. E' il 1997 l'anno che segna una svolta nella carriera di Jia: premiato per il film breve Xiao Shang al Festival del Cinema Indipendente Corto ad Hong Kong, incontra quelli che saranno due collaboratori preziosi: Yu Lik-wai sceneggiatore e Li Kit Ming produttore.
Sin da quello che viene considerato il suo debutto cinematografico, Xiao Wu Artisan Pickpocket, Jia Zhang-ke mostra non solo il legame con la sua terra di origine, ma anche quelli che saranno i temi dominanti della sua cinematografia, ripetuti e rielaborati sotto varie forme fino ad oggi: la Cina che cambia, i sussulti sociali che tale trasformazione porta con sè, l'esplorazione di un paese immenso e contraddittorio. I suoi lavori circolano clandestinamente in patria e il regista diventa film dopo film uno dei maggiori esponenti della Sesta Generazione di cineasti cinesi; utilizzando un poco ortodosso sistema di catalogazione i suoi primi tre lungometraggi vengono spesso inseriti in una ipotetica trilogia, all'interno della quale però non c'è un filo comune ove si escluda quella che è la concezione più intima personale dell'arte cinematografica per Jia. Xiao Wu, Platform e Unknown Pleasure ( racconto che affronta la politica demografica del figlio unico) tra il 1997 ed il 2002 rafforzano la posizione di preminenza di Jia all'interno della corrente cinematografica cinese, rimanendo sempre all'ombra della censura che non consente la libera circolazione dei suoi lavori.
Altra svolta fondamentale si ha nel 2004, quando le autorità cinesi appongono il sigillo di conformità a The World, metaforico affresco sulla globalizzazione e sulla modernità dirompente della Cina, ambientato nel World Park di Pechino, dove "si può visitare il mondo rimanendo a Pechino". Con il Leone D'Oro del 2006 la parabola di Jia Zhang-ke raggiunge il culmine: Still Life, film che racconta gli enormi sconquassi apportati dalla costruzione dell'immensa Diga delle Tre Gole, emblema della rivoluzione sociale che si abbatte sulla Cina. Il suo stile scarno, essenziale, attento al sociale ma percorso anche da fremiti di spettacolarità cinematografica che cerca di coniugare gli aspetti più vari delle contraddizioni e della vita in Cina fa di Jia un regista che riesce sempre a non essere convenzionale, raccontando con la forza delle immagini gli eventi che passano sotto gli occhi e che si erge a paladino del cinema indipendente cinese.
Da Still Life in poi Jia non dirigerà più un lungometraggio, a parte un misterioso e sorprendentissimo progetto che data ormai tre anni che riguarda un film storico ambientato nella Dinastia Qing e prodotto da Johnnie To, di cui però al momento si sono perse le tracce. Da allora Jia ha diretto due corti , tre documentari ed un lavoro, 24 City, che sfugge ad ogni tipo di classificazione essendo un magnifico quadro moderno imperniato su una fabbrica di Chengdu in dismissione sostituita da appartamenti e sui racconti, in parte di finzione, di lavoratori che in quella fabbrica hanno vissuto per decenni, coprendo un arco temporale narrativo di oltre cinquanta anni.
Lavoro che sfugge ad ogni tipo di catalogazione 24 City è una fotografia in movimento che si modifica in ogni istante in cui c'è posto per la sorpresa, la meraviglia e la commozione in un turbinio di racconti di vita in cui documentario e finzione si rincorrono e si compenetrano fin quasi a fare perdere i propri connotati. Questo stile personale sublimato in 24 City è il marchio dello Jia Zhang-ke documentarista: sapere passare dal documento pulsante e descrittivo in stile Wang Bing al documento di finzione in cui le testimonianze si fanno storie e i racconti personali paradigmi di un paese percorso da infiniti fremiti.
La coniugazione dei due stili documentaristici trova in Useless probabilmente la sua sintesi formale più coerente: diretto l'anno precedente rispetto a 24 City nei suoi tre segmenti Jia offre la sua interpretazione personale sull'industria tessile manifatturiera cinese, vero tessuto connettivo del paese, attraverso una descrizione neutrale di un laboratorio tessile, di come l'arte possa coniugarsi con il tessile raccontando la storia dell'artista MaKe esponente d'avanguardia nel fashion style cinese e artista in senso lato e di come i sarti della provincia siano ormai prossimi a soccombere di fronte alla globalizzazione; spaziando da Guangzhou fino alla amata Fenyang, passando per Parigi, Jia racconta la realtà, l'arte e le difficoltà di un settore che come tanti altri deve reggere il passo con le condizioni sociali che cambiano.
Nel 2010 l'ultimo lavoro di Jia: I Wish I Knew, sguardo offuscato di malinconia su Shanghai e la sua straordinaria storia fatta di racconti piccoli e di grandi gesti: attraverso le testimonianze di chi ha vissuto le varie epoche della metropoli, racconta la Shanghai di oggi, dell'Expo che ruba spazio ai vecchi edifici e rimembra i fasti di quella che era prima della guerra una delle metropoli più scintillanti del mondo intero; attraverso la città e le sue modificazioni urbanistiche Jia Zhang-ke fotografa la storia della Cina, quella che è stata per quasi venti anni di attività la sua linea guida e che ha fatto di questo piccolo grande uomo, sebbene oggi ancora quarantatreenne, uno tra i registi contemporanei più importanti.
Altri sottotitoli dei lavori di Jia Zhang-ke
presenti nell'archivio di AW
(artworks a cura di Kiny0)
Messaggio modificato da fabiojappo il 25 November 2015 - 12:07 PM