Rassegna stampa da Cannes:
"Di fronte a questo cinema ronde, si ha la sensazione di ritrovarsi, dopo poco, nuovamente al punto di partenza, rinchiusi in unico, indistinto film labirinto, nonostante l’apparenza del suo divagare errante, delle sue traiettorie nouvelle vague, fatte di incontri casuali alla Truffaut, di magiche fughe amorose.
Una libertà narrativa assoluta, di una freschezza leggera come il vento che fa girare la testa la sera. Ma che si ripiega su se stessa, film dopo film, in un’ineludibile impasse. Che non è creativa, perché il cinema di Hong Sang-soo è in continua, perfetta, martellante ridefinizione. Ma esistenziale. [...]
Hong Sang-soo rifà lo stesso film, perché è la vita che si mostra come un unico film. [...] Il regista ci fa sorridere e ci ubriaca. Ma ci lascia soli, con la nostra disperazione, stretti nella cornice immobile di una fotografia. L’unico spazio in cui è concesso camminare ancora. (Aldo Spiniello)
"[...] inizia a pesare sulle spalle di Hong una certa ripetitività nel racconto: oramai è davvero troppo semplice anticipare le mosse dei personaggi che mette in scena, prevedendo gli sviluppi della trama [...]. Qui il tutto sembra francamente troppo
studiato a tavolino, poco ispirato e ancorato a schemi che sarebbe ora che venissero rivisti se non completamente abbandonati. Ci sono ancora sequenze che funzionano in maniera magnifica [...] e la messa in scena è elegante e precisa fin nei minimi dettagli, ma
nell’insieme è impossibile non avere la percezione di trovarsi di fronte a un’opera minore di un autore che forse ha detto molto in troppo breve tempo. (Raffaele Meale)
"Bianco e nero, leggeri movimenti di macchina,
un racconto che sfugge ad ogni logica o previsione, apparentemente trasportato solo dal caso. Sono queste le caratteristiche principali dell’ultimo film di Hong Sang-soo, The day he arrives, [...]. fra una risata per una battuta non sense, improbabili incontri e sequenze reiterate si assiste, senza troppa partecipazione, al caotico peregrinare di Seonjun nella capitale coreana. La volontà del regista sarebbe infatti quella di raccontare principalmente un concetto molto semplice che lo stesso protagonista dichiara apertamente in un monologo: “
Capitano cose casuali senza ragione nella nostra vita, ma noi ne selezioniamo alcune per formare una linea di pensiero. Questo è quello che chiamiamo ragione”. Ogni incontro, ogni parola, ogni gesto non può dunque che apparire insensato, quasi scollato dal resto del racconto. [...] La partecipazione emotiva alla pellicola in casi come questi è condizione necessaria per poter godere appieno dell’opera. Non serve una logica ferrea per lasciarsi trasportare dall’atmosfera affascinante dell’insieme. Quando però anche questa latita,
affiorano inevitabilmente tutte le assurdità sconnesse che popolano il film. Priva di trasporto, la ragione torna a prendere il sopravvento evidenziando l’insensato peregrinare del protagonista, contribuendo così al lento ma inevitabile distacco dalla pellicola. (Giampiero Francesca)
"Ci troviamo dinanzi a flussi narrativi in cui l'elemento surreale mescola l'onirico con il reale, offrendo alla casualità degli eventi lo spazio per dispiegare la sua presenza. Casualità a cui il regista crede fermamente [...]. Ad Hong Sansoo va dato atto di
credere con grande rigore a questa modalità di narrazione che riesce indubbiamente ad offrire un forte senso di smarrimento esistenziale, conservando però un'ormai apparentemente
incolmabile distanza rispetto a un pubblico che non sia di nicchia. (Giancarlo Zappoli)
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Insomma, Hong non sembra al suo massimo.