Nanking Nanking
(aka City of Life and Death) (2009)
Scritto e diretto da Chuan Lu
Interpreti principali:
Ye Liu (Lu Jianxiong), Yuanyuan Gao (Miss Jiang), Hideo Nakaizumi (Kadokawa), Wei Fan (Mr. Tang), John Paisley (John Rabe)
Paese: Cina, Hong Kong
Durata: 132'
Versione sottotitoli: PMCG
1937. Seconda guerra sino-giapponese. L’esercito giapponese ha appena conquistato la capitale cinese Nanchino: quello che avvenne da quel momento e per molte settimane è ricordato come il massacro –o stupro- di Nanchino, in cui si stima morirono circa 300.000 persone, soprattutto civili, e decine di migliaia furono le donne stuprate. Il film cerca di raccontarlo attraverso diversi punti di vista, dei giapponesi invasori, dei civili cinesi, delle organizzazioni internazionali, compreso quello di John Rabe, nazista –realmente esistito- in servizio a Nanchino ma protagonista in positivo del salvataggio di decine di migliaia di civili.
La storia, anche in guerra, è spesso il risultato più o meno manipolato ed edulcorato di un passaparola collettivo che col tempo assume significati che vanno al di là del semplice e crudo evento storico, frutto da una parte di ignoranza (nel senso di “non sapere”, non dell’essere stupidi) e dall’altra dell’essere “di parte”, ovvero dell’utilizzare ciò che è successo a proprio uso e consumo. Eventi storici che col tempo assumono contorni sempre più sfocati e per questo diventano liberamente interpretabili e appunto manipolabili.
Con l’enorme maggiorazione di un mondo dell’informazione spesso di parte e con secondi fini, il risultato è che, giusto per tornare al film in questione, Cina=comunisti=repressione (con l’aggravante che di questi ultimi tempi questa simil-equazione è confermata dai…fatti), mentre il Giappone rimane sospeso in un limbo di incertezza misto tra l’ignoranza di cui parlavo sopra e l’annacquamento –e dire che sono passati poco più di 60 anni!- degli eventi storici, tra cui le Bombe (il marginale ricordo di una delle due affiora a stento il 6 Agosto di ogni anno, dell’altra lasciamo perdere). L’ultima “grande” guerra ha visto i nazisti vere e proprie superstar (in negativo), appannando e non poco la complicità e l’alleanza con i fascisti e appunto i giapponesi, ma quello che si dimentica è che questi ultimi, in tempo di guerra, non sfigurarono affatto al cospetto delle atrocità naziste, al punto da arrivare secondo alcuni a “giustificare” l’utilizzo delle uniche due bombe atomiche utilizzate contro l’uomo.
Di questi militareschi tempi, tutta l’attenzione mediatica internazionale è spostata sullo spauracchio Ahmadinejad, sulle sue minacce atomiche vere e armi di distrazione di massa dal momento che chi ne chiede a gran voce il loro bando – USA, Israele, ecc.- le bombe le ha in casa, pronto ad un loro “inevitabile” (ri)utilizzo. Perché se ce le ha in mano il “buono” è cosa buona –farebbero meno male? Colpirebbero intelligentemente solo i cattivi?- , se ce le ha in mano il “cattivo” sono un pericolo ambulante, una minaccia inaccettabile, mostri pronti a colpire indiscriminatamente. Ahmadinejad c’entra molto anche con il negazionismo, che non è solo la traduzione “campi di concentramento nazisti? Mai esistiti, forse”. Perché troppi in Giappone (e finalmente torno a parlare del film in oggetto), a partire da suoi primi ministri e deputati, continuano a negare di aver commesso atrocità durante le guerre, in particolare la seconda mondiale, continuano a negare persino le più semplici scuse alle donne di conforto, continuano a giustificare la propria condotta con la scusa (io la definirei aggravante) delle ragioni di guerra e di Stato, in misura non inferiore a quello che fa la Cina per avallare la propria autorità nei confronti di chi dissente.
Giungo finalmente anche a parlare del massacro di Nanchino. Circa 300.000 morti –più o meno gli stessi di Hiroshima-, di cui “però” pochi sotto i bombardamenti. Decine di migliaia di donne violentate, molte delle quali con la barbara usanza dell’obbligo a prestare “conforto” ai militari giapponesi e con delicatezza inversamente proporzionale alla lunghezza dei loro peni. Orgoglio militare da samurai da mettere in mostra con decapitazioni a sangue freddo (scene di questo tipo sono state tagliate ahimè dal film perché ritenute eccessive) e ferocia e freddezza militare espressa con barbare fucilazioni di massa. Migliaia di persone uccise in edifici dati alle fiamme, seppellite vive (bambini compresi). Tutte azioni che vanno sotto il nome di crimini di guerra, troppo spesso quando le baionette sono ormai fredde e ci si vuole lavare la coscienza per averle lasciato accadere il tutto sotto i propri occhi, o quando magari è giunto il momento di farci un film.
Giusto, il film. Personalmente per questo tipo di trame preferisco di gran lunga il genere del documentario (almeno dal punto di vista cinematografico) che nonostante non sia in grado di per sé né di ricreare né di ricostruire artificiosamente l’ “atmosfera”, riesce attraverso il racconto dei sopravvissuti e dell’indagine delle fonti storiche ad essere più credibile e molto meno superficiale, tranne rare eccezioni (ad esempio lo splendido “A Petal” di Jang Sun-woo per raccontare la rivolta di Gwangju). Tuttavia questo film, in generale, mi è sembrato più “onesto” e meno annacquato di retorica di tanti altri, e sebbene non credo si possa considerare tra i capolavori del genere, il suo sporco lavoro di risveglio delle coscienze addormentate lo potrebbe fare più che dignitosamente. Ottima la fotografia, con un bianco e nero deciso e contrastato, buona la recitazione dei protagonisti se non si pretende troppo dalla credibilità dei personaggi.
Come ogni film potenzialmente scomodo dal punto di vista politico, anche questo film è dovuto passare sotto le forche caudine della censura cinese, ma pare esserne passato abbastanza indenne (ma credo passeranno secoli prima di vedere delle “director’s cut” dei film cinesi, se mai ce ne saranno). In Giappone il film non è stato distribuito, e questo la dice lunga sul fatto che “gran parte” dei giapponesi consideri l’episodio di Nanchino (o “incidente”, come si ostinano con arroganza a chiamarlo) tale da giustificare le scuse del popolo del Sol Levante a partire dal suo dio in Terra, l’imperatore.
In nome del patriottismo spesso si vogliono nascondere e insabbiare le porcherie che per motivi economici e strategici vengono messe in atto da pochi con la complicità e la supervisione di Stati stranieri che si mettono alla finestra ad osservare più o meno interessati. Ma tant’è, grazie a Internet chiunque voglia vedere il film e farsene una personale opinione è più o meno libero di farlo. Così, allo stesso modo, tutti sono liberi di documentarsi attraverso libri, foto e fonti più o meno ufficiali riguardo allo stupro di Nanchino (spero magari qualcuno in più dopo la visione di questo film), giusto per ricordarsi che la storia, ahimè, si ripete oggi come ieri e domani, grazie anche a coloro a cui anziché una scorpacciata di sano razzismo meta-televisivo e retorica guerrafondaia servirebbe un po’ di fosforo. Ma non quello bianco.
War is over, if you want it.
Nanking.Nanking.2009.DVDRip.XviD_PMCG.ita.zip 17.53K 176 Numero di downloads