Liverpool
Argentina, Francia, Paesi Bassi, Germania, Spagna, 2008
84 min.
Regia: Lisandro Alonso
Sceneggiatura: Salvador Roselli/Lisandro Alonso
Musiche originali: Flor Maleva
Fotografia: Lucio Bonelli
Cast: Nieves Cabrera, Giselle Irrazabal, Juan Fernández
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Un film di Lisandro Alonso non permette «mezze misure», o lo si ama o lo si detesta. E non è una «frase fatta», vale per il cinema del talentuoso regista argentino dal suo esordio, La libertad (2001), continua con Los Muertos (2004) e Fantasma (2006), si conferma con Liverpool. Perché se in Italia quello di Lisandro Alonso è un nome ancora noto a pochi, nel resto del mondo gli occhi vispi e più attenti a quanto accade negli immaginari si sono accorti di lui assai presto: la Quinzaine, dove è passato Liverpool, lo ha già invitato tre volte, così Rotterdam, gli indipendenti di Belfort e via dicendo... Los muertos è diventato il titolo emblematico nonostante la giovane età di Alonso (nato nel 75 a Buenos Aires) per indicare quella tendenza di cinema che lavora sul tempo, sugli spazi emozionali, che usa una scrittura aperta nella quale l'immagine, la sua «fisicità» di luci, paesaggi, relazioni hanno priorità sulla «storia», sulla scrittura «chiusa», prevedibile e determinista. Liverpool racconta una solitudine, un vuoto dei sentimenti, una paura. C'è un uomo, Farrell, che vive su un cargo. A un certo punto parte, torna laddove scopriremo viveva molti anni prima. Vuole vedere la madre malata, ma la piccola comunità lo guarda con sospetto, intanto a casa è arrivata in sua assenza una bambina che ora è quasi una donna. L'uomo anziano che si occupa di loro lo caccia. Gli dice di non farsi vedere mai più, e Farrell scompare con la sua sacca ancora una volta nell'orizzonte lasciando una traccia: Liverpool, la targhetta della città.
Cosa è accaduto in passato Alonso non ce lo dice. La sceneggiatura che ha scritto insieme a Salvador Roselli, nel suo pensiero cinematografico, è una traccia, quasi una «guida» per spunti e indicazioni sulla struttura di una singola inquadratura, sulla scelta dei luoghi, su cosa cercare nelle attitudini delle persone. Per Liverpool Alonso è rimasto due mesi nel villaggio pieno di neve, dividendo coi personaggi (nessuno è attore) freddo, isolamento, immobilità e fuga. Perché Farrell è tornato? Cosa spera di trovare, cosa potrebbe accadere tra lui e quella ragazzina ritardata, che potrebbe essere persino sua figlia, infelice e anche lei isolata dal mondo, pronta a andare a letto con ogni uomo del villaggio e forse pure con lui? Anche a questo Alonso non risponde in modo diretto. Possiamo costruirci la nostra storia come lui, da regista, cerca di costruirne nel suo sguardo una. La materia primaria del suo lavoro è però il tempo, che è poi la materia del cinema. Sono quei lunghi silenzi immobili in cui scorre impercettibile lo svolgimento dei giorni. I gesti ripetuti, l'oscurità interiore di Farrell, alcolizzato, incapace di guardare le persone negli occhi un attimo più a lungo. Il mistero di ognuno, sul passato, e sulle loro vite. Ma anche senza sapere nulla si entra in empatia con quei personaggi seguendo il movimento che compiono nel presente, che ce li fa incontrare, partecipando alla «storia». Il cinema di Alonso si concentra sul gesto di filmare, filmare il tempo, filmare il cinema: scorci fordiani che tagliano all'improvviso l'inquadratura, la sagoma della ragazza immobile sulla soglia della bettola, l'uomo inghiottito dall'orizzonte. Un western del quotidiano e delle memoria...
Cristina PiccinO
Buona visione
Messaggio modificato da JulesJT il 17 December 2014 - 08:58 AM
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