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[RECE] Woman in the Dunes

Traduzione di Lexes

48 risposte a questa discussione

#46 luceastrale

    Microfonista

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Inviato 10 May 2010 - 11:33 PM

Visualizza MessaggioAkira, il 29 December 2006 - 01:23 PM, ha scritto:

Riporto in auge il topic per segnalare la scomparsa dell'attrice Kishida Kyoko (76 anni) a causa di un tumore al cervello.
e mi dispiace perche' almeno qui ha fatto un gran bel ruolo.
che dire di sto film? ho faticato perche' era bello lungo pero'....
fotografia stupenda e mai noioso.
Lui vuole scappare per ritornare alla sua vita
pero' all'inizio del film i suoi pensieri vanno allo stress della vita
alle bollette,alle cambiali insomma alle catene del mondo moderno
poi lui abbandona anche il suo interesse verso i coleotteri.....
infine se ci si pensa con il fatto che lei e' in cinta
si potrebbe dire che metta in un certo senso un legame piu' importante
con quella realta' in cui si trova.......
nn so.....ho l'impressione che la visione del regista nn sia tanto
la rinucia gretta e degradante ai propri ideali per adeguarsi alla prigionia
ma invece un adeguarsi consenziente ad una diversa realta'
un ritorno alla natura della sabbia ed una rinuncia alla vita moderna
in piu' c'e' un'altra cosa importante che nn ho decifrato ma e' simbolica
lui vuole vedere il mare....poi fugge e va verso il mare
un altro sarebbe scappato verso la strada nn verso il mare
dietro questo interesse c'e' qualcosa che ancora nn ho compreso
insomma il film ha di sicuro un significato da prendere seguendo la trama
ma ne ha altri nascosti del tutto simbolici.

#47 materiaoff

    PortaCaffé

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Inviato 12 May 2010 - 10:30 AM

Esiste una netta differenza tra la sabbia e l’acqua, anche se entrambe scorrono.

Nell’acquasi può nuotare mentre la sabbia imprigionale persone e le uccide sotto il suopeso.

Kōbō Abe



Nella vita di Teshigahara c’è stata, prima di tutto,molta arte, non solo per gli studi universitari condotti nell’ambito dellapittura ad olio, ma soprattutto perché, figlio del fondatore della grandescuola di ikebana Sōgetsu TeshigaharaSōfu. Sin dall’infanzia ogni componente della sua educazione ne fu intrisa,ogni amico di famiglia apparteneva a quel mondo, tutto lo stimolava aprediligere l’immagine. I suoi interessi si estendevano anche al mondoletterario di cui preferiva le tendenze antirealistiche e soprattuttosurrealiste. In gioventù incontrò spesso altri giovani intellettuali con cui siriuniva nell’associazione Gruppo delSecolo (Seiki no kai), e tra questi si rivelò determinante l’incontro conlo scrittore Kōbō Abeche diventerà, in seguito, autore dei soggetti dei suoi più noti film.

La donna disabbia (Suna no onna, 1964, PremioSpeciale della Giuria al Festival di Cannes) è probabilmente il migliore tra ifilm del regista. Nonostante la struttura iperreale della storia, quest’opera èquella con maggiore spessore e linearità narrativa.

Il film siapre con immagini surreali del deserto, delle sue dune, e con primi pianid’insetti. Un uomo sta salendo una duna. Quando l’obbiettivo zooma, ci rendiamoconto della sua solitudine nel vasto deserto. Le sue impronte lasciate sullasabbia sono l’unico segno di vita. La sabbia diventa, così, un paesaggiosimbolico, allucinato e ossessivo. L’uomo finisce prigioniero senza ritorno inuna fossa-casa continuamente strappata all’avanzare della sabbia, in unacondizione che al tempo stesso nega l’esistenza e rigenera la vita. La donnache abita la casa e la preserva dalla cancellazione è un corpo eroso dallasabbia, una presenza alienata, senza nome, storia e volontà, spogliatadell’identità e della speranza. Angosciato e in continua ricerca di una via difuga, decide gradualmente di continuare la missione della donna, anche quandolei deve partorire. Parabola, dunque, dell’esistenza intesa come ricercaaffannosa di una ragione per vivere, un’allegoria filosofica della condizioneumana.

La donnarappresenta colei che elargisce all’uomo ogni necessario benessere, molte sonostate le interpretazioni della critica sui significati legati ai due personaggie alla loro missione, fino alla constatazione più estrema che si tratti di unalogica basata sul principio taoista di complementarità tra gli eventi, così chenel finale l’uomo avrebbe raggiunto la coscienza di essere unico all’interno diuna dimensione totale e che è tale anche grazie al proprio contributo. Unateoria che potrebbe sembrare giustificata dalla commistione di sabbia e granaepidermica di cui si costituiscono molte belle immagini, quando la macchina dapresa si avvicina ai corpi fino a ridefinirne quasi la consistenza materiale.

E’ facilericonoscere nel deserto di sabbia che circonda il villaggio una trasparenteallegoria del “deserto di umanità”, l’espressione in cui i giapponesi indicanola grande metropoli per eccellenza, Tokyo, e ritrovare nel monologare ossessivoe nella solitudine del protagonista i temi dell’alienazione e della perditad’identità che da sempre sono al centro dell’opera di Kōbō Abe.

#48 asturianito

    Produttore

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Inviato 12 May 2010 - 11:22 AM

Ciao, materia, benvenuto! :em41:

Ho spostato qui la tua rece: accertati che non ci sia già una discussione che parla del film prima di aprirne una nuova.
Questa sezione in particolare è riservata ai film tradotti (l'elenco completo lo trovi nell'archivio sottotitoli), mentre nella sezione "Discussioni sul cinema asiatico" si parla di tutto il resto.

Ciao ciao... :em16:
Non si possono prendere quattro gol contro aversari
che passano tre volte nostra metà campo. (V. Boskov)


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#49 BadGuy

    Cameraman

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Inviato 10 April 2012 - 11:10 AM

Lucida e sconsolata allegoria del vivere. La vera prigione è il nascere, poi l'uomo vi si adatta come può, ingegnandosi, anche per capillarità, a trovare le fonti cui abbeverarsi per dare un senso allo scorrere della propria esistenza, al tempo. Alla sabbia addosso.
Mi è venuto in mente Cioran e il suo "L'inconveniente di essere nati".

Non mi è parsa 'avanguardia' o sperimentalismo in senso stretto, tanto meno uno di quei film frutto del fermento e degli anni in cui è stato creato che, passati quelli, invecchia, si ridimensiona e appare oggettivamente datato. E' proprio tosto cinema senza tempo, mai didascalico (!), né sterilmente formale, che non filosofeggia vacuamente, non mena il can per l'aia, ma è pulito, asciutto, tagliente e va al sodo utilizzando al meglio il linguaggio del cinema. Qui, come in "Pitfall" mi ha colpito la potenza di Teshigahara nella costruzione dell'inquadratura, non fredda di compiacimenti o virtuosismi, ma viva, fermentante sia nei particolari che nei campi lunghi, nei pieni come nei vuoti.
Il suo occhio sa far fremere ciò che guarda: ne mostra la prorompente fisicità, evocando, al tempo stesso, altro. Sensazioni, pensieri, immagini, vibrazioni.
Direi che Teshigahara è un cine-entomologo doc se non fosse che non ci guarda dall'alto a mo' di scienziato... perché sta lì in mezzo, dentro la sabbia. Coleottero tra i coleotteri.

Aspetto con ansia di vedere "Tanin no kao"... :em28:





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